15 passi verso la riconversione green. 1° passo: Il progetto
Non esiste azienda che non possa intraprendere un vero percorso green, basato sulla conversione dei processi produttivi verso un minor impatto ambientale, a costi accettabili, e su basi di comprovata ecosostenibilità.
Questo è l’assunto di partenza che vi voglio proporre.
Il principio è semplice, come ho già avuto modo di esprimere nel precedente articolo del blog «Riconversione green in azienda? Ecco come fare.»
Basta avere chiari alcuni concetti:
- da dove si parte e quanto si è lontani dalla meta;
- dove si vuole (e si può) arrivare, e perché;
- in quanto tempo prevediamo di ottenere i nostri obiettivi;
- in quanti step prevediamo di suddividere il progetto;
- che investimenti sono necessari per raggiungere ogni singolo step.
Da dove si parte, quanto si è lontani dalla meta.
Sebbene il blog tratti temi che riguardano soprattutto il mondo delle Piccole e Medie Imprese, tuttavia portare esempi relativi a grandi aziende aiuta a mio avviso a comprendere meglio il concetto.
Prendiamo ad esempio le grandi multinazionali dell’energia, che trattano materie prime di origine fossile; mi riferisco in particolare alle aziende con una lunga storia alle spalle.
È un dato di fatto che parte del loro business sia ormai frutto delle cosiddette fonti da energie rinnovabili, ma ciò non toglie che la maggior parte delle loro attività sia ancora saldamente legata alle risorse di origine fossile: carbone, petrolio, gas naturale.
Per queste aziende la conversione green rappresenta un nodo molto rilevante, e anche molto complesso da sciogliere.
Convertire ad esempio una centrale a carbone in una a gas, rappresenta un significativo miglioramento del processo produttivo, se vista dal punto di vista dell’ambiente, ma difficile (non impossibile) da realizzare.
Quindi le aziende energetiche non si possono permettere di riconvertire radicalmente e in breve tempo la propria attività produttiva, ma possono pianificare un passaggio progressivo a fonti meno inquinanti, oppure mixare le fonti di origine fossile con quelle rinnovabili, al fine di ridurre le emissioni nefaste per l’ambiente, pur rimanendo competitivi.
I processi di riconversione appena descritti sono molto complessi; più alla nostra portata sono invece le attività di comunicazione, che anch’esse si sono evolute nel tempo e che oggi più che mai sono curate nei dettagli, per non incorrere in evidenti attività di greenwashing *.
Prendiamo ad esempio l’ultima campagna ENI + Silvia, ENI + Luca etc.
In sostanza il messaggio non è genericamente rivolto a tutte le attività dell’azienda, ma specifico di alcune di esse, legate soprattutto alle tecnologie che in futuro consentiranno di produrre molta più energia da fonti rinnovabili rispetto ad oggi.
La novità contenuta nella campagna di comunicazione appena citata consiste nel coinvolgere i clienti, suggerendo loro di fare più attenzione ai consumi superflui, così da partecipare, anche con il loro aiuto, a fare insieme di più e meglio per preservare l’ambiente.
ENI continua ad essere tuttavia una multinazionale che sfrutta le risorse energetiche di provenienza fossile, ma diciamo che cerca di farlo con maggior responsabilità.
Il processo di conversione verso il 100% di energia pulita è lunghissimo, forse richiederà diverse generazioni, e la politica dovrà metterci del suo, ma in questo caso il processo aziendale “potrebbe” essere stato innescato, o perlomeno ce lo auguriamo di cuore.
Prendiamo ora le aziende che vendono energia proveniente SOLO da fonti rinnovabili.
Se fosse vero, per noi utenti, che sia possibile scegliere per tutti di sottoscrivere contratti di fornitura siffatti, ciò rappresenterebbe un vero balzo in avanti per la riduzione delle emissioni, ma purtroppo non è così.
L’energia da fonti rinnovabili non è ancora prodotta in quantità sufficiente per soddisfare tutta la domanda di energia privata e industriale, di conseguenza solo una parte degli utenti possono aderire a proposte di energia green.
Il discorso si complica ulteriormente se pensiamo che l’energia prodotta sia da fonti rinnovabili sia da fonti fossili entra nella rete e viene utilizzata da chiunque, indipendentemente dal tipo di contratto sottoscritto.
Senza nulla togliere a questi provider di energia, il cui impegno è pregevole, l’importante è che l’utente (cioè noi) ne sia consapevole; in altre parole: «siamo tutti sulla stessa barca.»
Dove si vuole (e si può) arrivare, e perché.
Torniamo ora in ambito PMI; il processo è simile a quello delle grandi aziende, ma l’ambito è ovviamente molto più ridotto: «So dove dovrei arrivare; sono motivato e interessato a farlo (anche per motivi di business), decido dunque di intraprendere un percorso virtuoso.»
In questa parte dell’articolo diamo valore al «perché» intraprendere un determinato percorso di conversione.
Anche questo aspetto è stato ampiamente illustrato nel mio articolo «Vuoi esportare in Europa e nel mondo? Pensa (e produci) green.», articolo che vi suggerisco di leggere, in quanto riporta molti riferimenti utili per la comprensione di questo passaggio.
Il concetto è semplice, fuori dall’Italia, soprattutto se ci spostiamo verso nord, i valori legati alla sostenibilità sono molto più radicati che da noi, e sempre di più, in futuro, non basterà essere artefici del Made in Italy per essere apprezzati, ma dovremo anche essere paladini della sostenibilità; ne sono fermamente convinto.
Quindi, per concludere con questo passaggio, non dobbiamo solo cercare motivazioni interiori, seppur nobili, ma a mio avviso è anche una necessità legata al futuro del nostro business e dunque della nostra azienda.
In quanto tempo prevediamo di ottenere i nostri obiettivi.
Se necessario si può tranquillamente pianificare la nostra conversione sulla base di anni; ad esempio per ragioni di natura economico finanziaria.
Ciò dipende in gran parte dalle caratteristiche della nostra attività; se è particolarmente inquinante, se la concorrenza è più avanti di noi nel processo, se i mercati chiedono risposte concrete, se il legislatore ha recepito direttive europee più stringenti in tema di inquinamento ambientale; per tutte queste ragioni la valutazione del tempo necessario per la riconversione è da considerare tra gli aspetti strategici del progetto.
C’è un’altra motivazione tuttavia, che non è irrilevante: quando si innesca un progetto di conversione verso un sistema meno inquinante, o addirittura virtuoso, chi ci osserva da fuori non ama né i ritardi né i ripensamenti.
Per questo motivo, invece di forzare le tappe senza essere certi di cogliere gli obiettivi pianificati uno dopo l’altro, suggerisco piuttosto di prendersi uno o due anni in più.
Quanti step prevediamo di definire.
Tutto ciò premesso, in quanti step prevediamo di ottenere il risultato più ambizioso, che è anche quello più utile al pianeta?
Gli step di cui parlo sopra non coincidono necessariamente con gli anni fiscali; sono step progettuali e come tali vanno trattati.
Tuttavia, poiché ognuno di loro rappresenta un investimento, oltre che di energie e di persone, anche economico, è implicito definire le scadenze anche in funzione dei budget e del conto economico.
In realtà gli ambiti di intervento sono stati tutti elencati nei «15 passi verso la riconversione» presenti nell’articolo già citato sopra «Riconversione green …», ma nell’ambito di ognuno di loro si possono sicuramente individuare degli step intermedi, che vedremo in dettaglio quando nei prossimi articoli andremo a sviluppare ogni singolo passo.
A dir la verità non siamo per forza tenuti, secondo la mia personale visione, a raggiungere per forza gli obiettivi più ambiziosi che, usando un claim forse abusato, vorrebbe dire raggiungere la condizione a «impatto zero», sia perché non è possibile ottenerla, sia perché lo scivolone è sempre dietro l’angolo.
Non è necessario essere “radicali” nelle nostre scelte green aziendali, altrimenti si rischia di non partire mai; meglio essere realisti e un tantino ambiziosi, quello sì.
Un esempio che trovo calzante potrebbe essere quello della scelta dell’auto, se mai dovessimo decidere di acquistarne una; non a caso uno dei motivi per il quale il settore dell’auto è in crisi è proprio dovuto all’incertezza dei mercati su quale tipo di motore puntare: benzina o diesel, ibrido o full electric.
A parte ciò, proviamo a fare un’analogia con il mondo dei motori.
Mettiamo le 4 motorizzazioni una vicina all’altra e immaginiamo che questi possano essere i nostri obiettivi aziendali intermedi in tema di riconversione green, oppure i nostri obiettivi “parziali”, ma definitivi.
Partiamo dalla nostra azienda, che nell’analogia è una bella auto a benzina dei primi anni ‘80, ad esempio una bella Fiat Argenta.
«Dobbiamo cambiarla (nella nostra analogia, riduzione dei consumi e dell’impatto ambientale), siamo ambiziosi e sappiamo che l’ideale sarebbe una bella full electric, o forse addirittura un’auto a idrogeno, ma dovremmo aspettare troppo per averla: abbiamo urgenza di cambiarla, nessuno ci vuole più salire, al massimo posso sperare di trasformarla in un’auto d’epoca, ma avrei un mercato troppo piccolo a cui rapportarmi.»
«Tralascerei per ovvie ragioni un’auto diesel o benzina; la mia scelta dunque ricade di preferenza su un’auto ibrida, cioè a metà strada tra la full electric (mio ideale di auto) e benzina di nuova concezione, troppo simile a quella che devo sostituire.»
Ecco, con questa breve analogia mi auguro vi sia più chiaro cosa intendo quando parlo di riconversione green parziale, ma comunque sostanziale.
Gli investimenti necessari per ottenere ogni singolo step.
Onestamente questo argomento va trattato in modo adeguato in ogni singola azienda.
Seguendo la tipica immagine dell’iceberg, possiamo almeno anticipare che in tema di investimenti sarà necessario distinguere tra investimenti “hard”, di preferenza legati all’efficientamento del processo produttivo, nella direzione di un minore impatto ambientale e investimenti “soft” legati alle persone, ai comportamenti, agli sprechi generalizzati etc.
Tutto quanto affermato oggi deve costituire il progetto iniziale, da cui poi far partire le varie iniziative, che ci porteranno, in breve tempo o in un tempo medio lungo, a convertire in parte o completamente la nostra azienda, partecipando, per quanto ci sarà possibile fare, ad una consapevole e progettuale riduzione delle emissioni di CO2, augurandoci che, alla fine, sia anche il nostro business a beneficiarne.
Nel prossimo articolo tratteremo il secondo dei 15 passi verso la riconversione green: Fornitori e Stakeholder, i primi a dover essere coinvolti nel nostro progetto.