Vuoi esportare in Europa e nel mondo? Pensa (e produci) Green.

Avete mai affrontato la questione della sostenibilità nell’ambito della vostra azienda, per quanto attiene il processo produttivo?

Probabilmente una buona parte di voi l’ha fatto, e continua a farlo.

E’ altresì probabile che pochi stiano facendo qualcosa di veramente concreto in questo senso.

In questo articolo cercherò di chiarire le motivazioni del ritardo (o rinuncia), da parte dei più, nell’implementare processi produttivi più sostenibili nelle proprie aziende; cercheremo anche di delineare gli indiscutibili vantaggi che il vostro business potrebbe trarne nell’adeguarsi, soprattutto se parte della vostra produzione è destinata all’export.

Elezioni Europee

Per affrontare il discorso strategicamente, prendiamo come punto di partenza i risultati delle ultime elezioni europee, argomento d’attualità e paradossalmente molto significativo.

Voto green Elezioni Europee 2019: Germania (20,50%) e Francia (13,47%), Regno Unito (11,10%), Italia (2,5%).

Mi sono fatto subito l’idea, all’indomani dei risultati elettorali, che 3 siano i motivi per i quali il voto green europeo non abbia attecchito in Italia.

  1. Motivi contingenti di carattere economico; molti ritengono di essere già green di fatto, perché sono costretti a tirare la cinghia e consumare pochissimo, con lo svantaggio però che il sentimento nei confronti della sostenibilità assume in questi casi una valenza decisamente negativa, legata più a privazioni che opportunità;
  2. La percezione generale, inclusi gli stranieri, è che in Italia si viva bene; inoltre le statistiche considerano gli Italiani come uno dei popoli più longevi tra le economie sviluppate. L’aspettativa media di vita degli italiani, infatti, grazie a fattori alimentari, sociali e in parte ambientali, sono più alte rispetto ai paesi del nord Europa; in realtà sono nell’ordine solo di qualche mese, ma sufficienti per influire nella percezione della minore urgenza di intervenire a difesa dell’ambiente (sebbene tutti sappiamo che nel nostro paese vi sono aree veramente molto inquinate);
  3. La maggior parte delle persone in Italia, soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione, non cede all’inerzia di nutrirsi male e con alimenti industriali; da noi la ricerca di prodotti genuini è un must e le persone investono molto del loro tempo per la cucina;

Sul piano industriale, le attività manifatturiere in Italia sono legate soprattutto alle PMI; poche in Italia sono le grandi e grandissime aziende con budget rilevanti per la conversione “green”; qui la conversione della produzione in chiave green è molto più difficile e costosa, tra l’altro con uno Stato che non è in grado di rilanciare tale cambiamento in modo serio e con una visione strategica a lungo termine; ancora una volta il green è percepito come costoso, inarrivabile e poco motivante.

Al solo fine di confrontare le motivazioni appena enunciate con opinioni diverse, sicuramente autorevoli, cito di seguito, a titolo di esempio, le motivazioni portate da  Antonio Villafranca – Responsabile Europa dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), nel contesto di un’intervista di Elisabetta Barba, apparsa su Panorama online del 28 maggio 2019, cioè all’indomani delle elezioni europee: per Antonio Villafranca le motivazioni del deludente risultato italiano sono 3: 1) In Italia il partito dei Verdi non è strutturato, è rimasto ai margini, fermo alle logiche dei suoi fondatori (anni 90); 2) In Italia i temi green vengono associati a logiche pauperistiche, che rappresentano quasi un vincolo: non è passato dunque tra gli elettori il collegamento tra visione green e sviluppo economico (ambiente – sviluppo – innovazione); 3) In Germania e in Francia i Verdi crescono dove arretrano i socialisti; in Italia il PD ha tenuto, così come in Spagna, anche perché il PD ha fatto proprio in qualche modo il tema dell’ambiente. Infine in Italia sono più pressanti le ragioni economiche.

Nell’insieme le motivazioni di Villafranca hanno un connotato più politico rispetto alle mie; del resto questo non è un blog che parla di politica, bensì di management, e quindi la differenza ci sta.

Tuttavia i concetti espressi al punto 2 di Villafranca corrispondono al mio punto 1.

Un’ulteriore conferma di questa motivazione viene anche dall’opinione di alcuni giornalisti che, sempre all’indomani delle elezioni, hanno sostenuto che un’altra differenza con l’Europa è che il voto green abbia attecchito nei paesi ricchi, e fallito in quelli in sofferenza economica, che è ancora un altro modo di esprimere il concetto da me espresso al punto 1.

Partendo dunque da questo presupposto, sancito da un fatto recentissimo, possiamo a mio avviso trarne alcune interessanti deduzioni, utili per comprendere opportunità e minacce nell’adeguare o meno le nostre aziende alle crescenti esigenze green dei paesi europei i cui “mercati” sono più sensibili al tema.

Green Attitude

Nel mio precedente articolo della categoria “Environment” di questo blog, sostenevo che ogni azienda può intraprendere un percorso nella direzione della sostenibilità, un passo alla volta, modulando gli investimenti in base alle opportunità che i mercati ci offrono per poter rientrare dai nostri investimenti, al di là dei vantaggi di immagine.

Paradossalmente è più facile creare una start up green che riconvertire un’azienda storica, anche se la start up fosse legata alla produzione, e ciò è facilmente comprensibile, anche a partire da occhi non esperti.

Nuovi macchinari, nuovi processi produttivi, nuove installazioni, nuovi building e la lista dei punti differenzianti in chiave green è molto lunga ancora.

Vorrei però soffermarmi oggi su un tema, che considero strategico, e che va oltre il concetto di conversione a prescindere, concetto che ho cercato di condensare nel titolo dell’articolo:

«Vuoi esportare in Europa e nel mondo? Pensa (e produci) Green.»

In realtà bisognerebbe aggiungere: «Vuoi continuare a esportare …?»

Il ragionamento è semplice.

Tutte le aziende, in particolare le PMI, che esportano prodotti e manufatti, in Europa e nel mondo, non si possono ormai più permettere di tralasciare, e nemmeno di rimandare, una profonda riflessione su come convertire il processo produttivo e i prodotti che ne scaturiscono, secondo una crescente attenzione all’ambiente.

I dati che abbiamo visto in Germania, in Francia, in Inghilterra, rappresentano a mio avviso solo la punta di un iceberg; milioni di persone sono disposte a votare palesemente un partito che fa della sostenibilità il vessillo e il programma politico, ma moltissimi altri sono a mio avviso altrettanto sensibili, anche se non votano espressamente il partito di riferimento.

Inoltre, secondo l’analisi di confronto con l’Italia fatta all’inizio, in quei paesi si guarda al green non solo come “dovere” nei confronti del pianeta che ci ospita, ma anche come opportunità per continuare a crescere, ma nel rispetto dell’ambiente.

Quindi dai “vostri” prodotti Made in Italy questi mercati non si aspettano solo valori legati alla qualità, al design, all’ottimo rapporto qualità – prezzo, ma anche un processo produttivo certificato, tracciabile e dichiaratamente orientato all’attenzione all’ambiente.

Come fare? Da dove cominciare?

Prima di tutto il suggerimento è guardare ai mercati in cui esportiamo regolarmente, aggiungendo all’analisi del contesto competitivo, sulla base ad esempio di una semplice S.W.O.T. Analisys, anche gli aspetti legati alla sostenibilità.

Si tende infatti sempre a mettere in secondo piano questi aspetti; sappiamo che ci sono ma non ci spendiamo più di tanto del tempo per analizzarli a fondo.

Tendiamo a rimandare il momento dell’analisi strategica, perché intuiamo a pelle che è un “bel problema” da affrontare per la nostra azienda.

Ricordo che qualche anno fa ero impegnato sul fronte della conversione a LED dei proiettori industriali per l’illuminazione dei siti produttivi; milioni e milioni di lampade obsolete, energivore, che giacevano immobili (e ormai scariche) sopra le nostre teste, ovunque andassimo; tutto facevano fuorché illuminare efficacemente.

Era il periodo della fine della grande crisi, quindi eravamo reduci da anni di sofferenza.

Le risposte degli imprenditori erano orientate a dare priorità, dovendo purtroppo scegliere, tra il rinnovo di alcuni macchinari e il rinnovo dell’impianto di illuminazione.

Come dargli torto? Meglio rinnovare i macchinari.

A distanza di anni non sono certo che tutti quelli che mi parlavano di macchinari li abbiano effettivamente rinnovati; forse hanno cambiato alla fine più lampade che macchinari.

Abbiamo punti di forza sulla sostenibilità? Quali sono i nostri punti di debolezza? I mercati dove esportiamo, presentano dati in crescita rispetto alle esigenze green dei clienti, tali da poterle considerare un’opportunità per la nostra azienda? Rappresentano addirittura per caso una minaccia per la nostra azienda, se ad esempio dovessimo tracciare un concorrente più avanti di noi nel processo virtuoso?

Questi sono, in linea di massima, i primi quesiti a cui dovremmo dare in fretta una risposta.

Suggerisco dunque di affrontare al più presto il tema, proprio partendo dalle basi e dagli strumenti che il marketing strategico ci offre:

  • S.W.O.T. Analysis
  • Business Model Canvas

Sulla base dei risultati dell’analisi, è possibile affrontare un percorso a tappe, sostenibile da parte di tutte le aziende, come già detto nel mio precedente articolo.

Nei prossimi articoli sul tema vi aiuterò a trovare la strada giusta per la vostra azienda; un’analisi dettagliata, punto per punto, sulle cose da fare per essere più credibili.