Il Valore della «Green Attitude»

I baby boomer che leggeranno questo articolo ricorderanno sicuramente, soprattutto chi vive o ha vissuto in Lombardia, che tra la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70 spesso venivano citati dai media alcuni fiumi che erano senza ombra di dubbio tra i più inquinati: Olona, Seveso, Lambro …

In sostanza, partendo dalle aree più produttive del nord d’Italia, la mancanza di leggi e di consapevolezza ecologica da parte più o meno di tutti a tutti i livelli, portava molti a considerare i fiumi come un pratico ed economico mezzo per sversare le scorie di lavorazione e «dimenticarsene», senza neanche molti sensi di colpa.

«Getta e dimentica»

«Getta e dimentica» è in effetti, da tempo immemorabile, il principio che guida gli esseri umani nella gestione della spazzatura e, pensandoci bene, alla base di gran parte dei problemi del nostro ecosistema.

«Getta e dimentica» non riguarda solo la bottiglia di vetro, la lattina di birra o il mozzicone di sigaretta per strada, ma anche il gas di scarico delle auto, i fumi da riscaldamento e in generale tutte le emissioni di CO2 prodotte dalla combustione di carburanti e oggetti di origine fossile, come la plastica, con cui conviviamo quotidianamente da molto tempo.

Non credo che ai giorni nostri la sensibilità collettiva sia rimasta ad un livello così basso, nel senso che i residui e le scorie produttive inquinanti vengono ormai gestite e veicolate attraverso processi codificati e controllati.

Ma per ottenere risultati concreti e duraturi nella conservazione dell’ecosistema rimane fondamentale l’orientamento del legislatore, inteso come Parlamento Europeo e recepimento dei singoli paesi membri, proprio per portare i cittadini ad assumere comportamenti corretti nei confronti dei rifiuti che, se lasciati alla libera interpretazione, rimarrebbero probabilmente ad un livello di auto controllo del tutto inadeguato e insufficiente.

Sul piano dell’inquinamento e delle emissioni di gas serra invece, molte cose sono state fatte, molti governi stanno agendo affinché la produzione di energia da fonti rinnovabili superi quella da fonti fossili, ma non si può certo dire che la questione sia del tutto sotto controllo.

Ai giorni nostri, dove temi quali la riduzione delle emissioni di gas serra, il controllo dell’innalzamento della temperatura media terrestre sono diventati persino drammatici, se osservati a livello globale, assistiamo in presa diretta all’importanza delle scelte di politica generale per quanto attiene l’ecologia, soprattutto se portate avanti dai grandi stati, responsabili del maggior numero di emissioni.

Tuttavia non ci sono ancora accordi condivisi ed esecutivi tra i grandi paesi del mondo a proposito del contenimento delle emissioni di CO2.

Se dal punto di vista dei rifiuti e delle emissioni sono le regole della politica che orientano i nostri comportamenti, dal punto di vista della sostenibilità dei beni (strumentali, durevoli, semidurevoli, di largo consumo etc.) e dei cicli produttivi ad essi collegati, non sono solo le leggi ad orientarci, ma il mercato.

E per mercato mi riferisco non solo al mercato delle relazioni tra brand e consumatori (B2C), ma anche a quello tra aziende tout court (B2B).

Fino a pochi anni fa l’orientamento green delle aziende e dei loro brand era frutto di una scelta personale, a volte proprio dovuto all’intuito del singolo imprenditore; a parte precursori illuminati, che già negli anni ’60 e ’70 preconizzavano la necessità di intervenire nei processi industriali per ridurre le emissioni di CO2, nessuno, più meno fino alla fine degli anni ’90 e più concretamente nei primi anni 2000, fece scelte produttive orientate consapevolmente alla sostenibilità ambientale.

Verso la fine dei primi anni 10 di questo secolo e per tutto il periodo successivo, fino a oggi, il tema è via via diventato di maggiore attualità e strategico per moltissime aziende.

La sovrapposizione tra esclalation delle scelte green delle aziende e la grande crisi economica (2008 – 2014) non è da considerare «causale», a mio parere, in quanto molto è stato fatto a seguito di una maggiore consapevolezze da parte dei cittadini della necessità di conservare di più, invece di consumare, come conseguenza di una ridotta disponibilità economica. La crisi è passata (forse non del tutto) ma il senso di eccesso nei consumi e di consapevolezza del superfluo è rimasto e influisce sull’andamento dei consumi.

Essere green, ora, è quasi un dovere

Come conseguenza del nuovo orientamento del pubblico, molte aziende si sono adeguate a hanno dato risposte concrete alle attese.

Essere green, ora, è quasi un dovere, pena l’esclusione dal mercato, sia perché i clienti sono appunto più attenti, sensibili e chiedono risposte, sia perché, a tendere, il legislatore porrà sempre più limiti all’inquinamento.

Tuttavia affrontare seriamente in azienda questi temi è sicuramente impegnativo e complesso, sicuramente non istantaneo come girare un interruttore, ma potete credermi che è possibile farlo, con serietà ed efficacia, anche se apparentemente impossibile.

La mia esperienza professionale in Greensense, agenzia di marketing e comunicazione con accento sulla sostenibilità, di cui nel 2010 sono stato ispiratore e cofondatore, mi ha permesso di occuparmi approfonditamente di questi temi.

Certo, va distinta la «Green Attitude» dei comportamenti da quella del ciclo produttivo, che ovviamente comporta grandi investimenti e stravolgimenti organizzativi.

Per certi versi è molto più facile partire con una nuova start up green piuttosto che convertire un’azienda storica che opera in un mercato consolidato; tuttavia in entrambi i casi sarebbe uno sforzo più che opportuno, oltre che sensato e lungimirante.

Cerchiamo tuttavia di entrare nel merito della questione, delineando quelle che secondo noi sono i confini entro cui è possibile agire coerentemente rispetto alle tematiche della sostenibilità, da un lato senza affossare l’azienda e dall’altro senza il rischio di essere tacciati di «greenwashing».

Essere coerenti rispetto all’orientamento green richiede la definizione di progetti concreti con risultati misurabili, che tuttavia possono partire anche da piccole iniziative e via via diventare sempre più rilevanti nel tempo.

In altre parole è bene iniziare un percorso, partendo da cose semplici e fattibili, e passo passo raggiungere degli obiettivi sempre più sfidanti, evitando di stravolgere dall’oggi al domani un ciclo produttivo consolidato.

Stiamo predisponendo un vademecum che elenca e spiega le varie iniziative in chiave green che ogni azienda dovrebbe implementare, partendo dalle azioni più banali e semplici, per poi passare a quelle più complesse e strategiche.

A priori non ci sono aziende che non possano trovare al loro interno quelli che noi chiamiamo “fil vert”, libera interpretazione del «fil rouge» in chiave green.

Nei prossimi articoli della categoria pubblicheremo i contenuti di questo lavoro.

Se anche tu stai cercando una soluzione efficace e sostenibile non solo per il pianeta, ma anche per i tuoi obiettivi di business e le tue finanze, parliamone, sarà per me un piacere condividere le possibili soluzioni.