15 PASSI VERSO LA RICONVERSIONE GREEN: 2° PASSO – I FORNITORI
È interessante l’idea che partire dagli «altri», per iniziare concretamente il nostro percorso di riconversione green della nostra azienda, sia in effetti un passo credibile e fondamentale.
Potrebbe sembrare paradossale, ma è tutt’altro che questo.
Tornando al nostro 1° passo «abbiamo dunque varato il nostro progetto di eco-sostenibilità, quindi ci crediamo e abbiamo deciso di agire.»
Poiché il progetto rientra in una logica di percorso, lungo ma virtuoso, ecco che i fornitori risultano essere un anello importante della catena.
Poiché la nostra attività è di tipo produttivo (ma anche nel terziario sarebbe la stessa cosa), il primo suggerimento è «appunto» di cominciare guardandoci attorno, proprio cominciando da chi lavora con noi, e ci fornisce materie prime, mezzi, prodotti e servizi, e di fare dei ragionamenti strategici attorno al concetto di fornitore:
- Sarà all’altezza della situazione?
- Sarà in grado di far fronte alle nostre richieste?
- Quali sono i suoi progetti in tema di sostenibilità?
- Dispone delle certificazioni adeguate?
Acceleratore di processi virtuosi
Paradossalmente, questo approccio «indiretto» rappresenta nei fatti un grandissimo acceleratore di processi più sostenibili, in quanto, se siete «cliente» di aziende fornitrici (nel senso B2B del termine), e queste aziende sono interessate a tenervi come clienti, faranno di tutto per soddisfare le vostre richieste, ma a loro volta si troveranno di fronte alla necessità di risolvere un dilemma di coerenza, in quanto non potranno mentirvi rispetto alle specifiche dei prodotti / servizi che voi avete la necessità di acquisire, per essere a vostra volta coerenti rispetto alle vostre scelte strategiche in tema di sostenibilità.
Molto probabilmente una parte dei vostri fornitori non potranno seguirvi, e quindi dovete essere pronti ad intraprendere parallelamente un buon lavoro di «scouting», alla ricerca di nuovi partner.
Sempre nell’ottica di non fare mai il «passo più lungo della gamba», come già detto in altri passaggi dei precedenti articoli sul tema, non dobbiamo strafare ma, ad esempio, potremmo iniziare con un solo progetto, un prodotto, un processo produttivo, una divisione, e iniziare da lì il nostro «new deal».
Come conseguenza (positiva per i vostri fornitori inadeguati), potrete temporaneamente tenere vivi i rapporti con i fornitori storici, far loro capire che state facendo sul serio, lasciargli il tempo di adeguarsi, e nel frattempo iniziare nuove partnership con nuovi fornitori.
Il valore delle certificazioni
La selezione dei fornitori «certificati» non è banale, in quanto devono rispettare determinate caratteristiche riguardanti la certificazione ambientale.
La certificazione ambientale è un attestato che definisce l’impegno di un’organizzazione per il rispetto dell’ambiente.
Ogni impresa privata o ente pubblico che scelga volontariamente di ottenere la certificazione deve dotarsi di un Sistema di Gestione Ambientale e sottoporlo a verifica da parte di un Ente terzo accreditato.
Il Sistema di Gestione Ambientale è l’insieme dei processi, dei procedimenti, degli strumenti, dei modelli posti in essere da un’organizzazione, formalizzati al fine di rispondere ai requisiti richiesti dalle norme di riferimento (ISO 14001 ed EMAS).
Sono strumenti utili per lo sviluppo sostenibile, in quanto le organizzazioni che si certificano prendono un impegno concreto per limitare gli impatti ambientali diretti (derivanti dalle proprie attività) e indiretti (aspetti ambientali sui quali possono esercitare una certa influenza), migliorare l’abbattimento delle emissioni, incentivare l’economia circolare e le buone pratiche ambientali.
Impegno principale dell’organizzazione certificata infatti è la politica del miglioramento continuo delle proprie prestazioni ambientali.
UNI EN ISO 14001:2015, EMASIII e UNI EN ISO 9001 sono le norme più diffuse.
Rimandiamo ad un approfondimento specifico su ognuno di queste tre certificazioni, suggerendo tuttavia che sarà opportuno farvi aiutare in questo da enti specializzati (cercare «Enti e Società specializzate nella certificazione ambientale»).
Punto di non ritorno
Ciò detto è importante definire un «punto di non ritorno»: è ovvio che quanto detto e sostenuto a proposito dei nostri futuri fornitori non ci esime da essere innanzi tutto noi stessi in regola con le normative, ma questo aspetto fa parte integrante del nostro «processo virtuoso» appena intrapreso.
È anche per questa ragione che riteniamo opportuno suggerirvi di fare un passo alla volta.
Quindi, nello specifico, è inutile (o addirittura controproducente) mettere a soqquadro l’azienda in nome di una sostenibilità “insostenibile”, bensì è più saggio (e comunque nobile), cominciare da un singolo progetto.
Dal punto di vista pratico, sarebbe infatti un passaggio abbastanza debole, per quanto attiene la leva della comunicazione istituzionale, pretendere dai fornitori certificazioni di cui noi non disponiamo, in quanto la filiera di certificazione dovrebbe comprendere innanzi tutto la nostra organizzazione: non si può pretendere di essere considerati “green”, se ad esserlo sono solo gli stakeholder esterni alla nostra organizzazione.
Un esempio efficace per comprendere questo passaggio è la seguente affermazione: «le nostre merendine sono prive di olio di palma.»
Il discorso sull’olio di palma è molto complesso, ma attiene tuttavia anche ad argomenti legati alla biodiversità, e quindi alle tematiche di eco-sostenibilità, coerenti con il tema trattato in questo articolo.
Affermare di aver tolto l’ingrediente «olio di palma» dai propri prodotti da forno, e di averlo sostituito con altri ingredienti, è sicuramente apprezzato dai consumatori, e comprende almeno due elementi valoriali, di carattere psicologico: uno relativo alla salute della persona (meno olio vegetale nell’impasto) e uno relativo alla salute del pianeta (contributo indiretto alla deforestazione del sud est asiatico).
Ma questa “azione” di carattere produttivo – industriale rappresenta la punta di un iceberg, dal punto di vista dell’immagine dell’azienda che la promuove, e comunque potrebbe non essere risolutiva; con quale / quali ingredienti è stato sostituito?
Non è possibile determinare infatti con certezza che tutta la struttura dell’azienda sia coerente con tale scelta o, perlomeno, per essere coerenti con le premesse della nostra riflessione, che tutta la filiera produttiva del prodotto oggetto della comunicazione sia eco-sostenibile, ammesso che sia questa la direzione che l’azienda in questione voglia intraprendere, e non una semplice dichiarazione «tattica».
Il tema della sostenibilità quindi, soprattutto per quanto attiene la produzione di beni, è in effetti estremamente complesso, articolato e costoso, ne abbiamo già parlato.
Come consumatori, abbiamo sicuramente a volte l’impressione di essere manipolati, ed è per questo che la coscienza e la conoscenza sono importanti.
Tornando al tema delle certificazioni, un’organizzazione può scegliere liberamente uno dei due riferimenti normativi citati sopra per portare a certificazione ambientale il proprio Sistema di Gestione Ambientale, come può ottenere entrambe le certificazioni.
Tra i due sistemi vi sono però alcune differenze, tra cui il fatto che le norme della serie ISO coinvolgono enti verificatori di natura privatistica accreditati da ACCREDIA, mentre la registrazione EMAS avviene dopo la verifica positiva svolta da un soggetto pubblico quale il Comitato Ecolabel ed Ecoaudit e ARPA.
Inoltre EMAS richiede una maggiore apertura al pubblico divulgando i dati ambientali, gli obiettivi e il programma ambientale sostenuti dall’Organizzazione, con una pubblicazione periodica del documento “Dichiarazione Ambientale” che viene validato dal Comitato Ecolabel ed Ecoaudit.
Fornitori – Stakeholder
La traduzione letterale di Stakeholder è: titolare di una posta in gioco.
Ci sembra opportuno dare una definizione chiara delle differenze tra il termine fornitore e quello di stakeholder, ancorché l’uno non esclude l’altro, ma in termini più estesi.
Tale definizione fu elaborata nel 1963 presso il Research Institute dell’Università di Stanford.
Il primo libro sulla teoria degli stakeholder è Strategic Management: A Stakeholder Approach di Edward Freeman, che diede anche la prima definizione degli stakeholder come «soggetti senza il cui supporto l’impresa non è in grado di sopravvivere».
Secondo questa teoria, il processo produttivo di un’azienda generica deve soddisfare delle soglie critiche di costo, servizio e qualità, che sono diverse e specifiche per ogni stakeholder.
Al di sotto di una prestazione minima, il cliente cambia fornitore, i dipendenti si dimettono e i processi materialmente non possono continuare.
Con il tempo prevale il “filone etico”.
Nel 1984, insieme a William M. Evan in A stakeholder approach on modern corporation: the kantian capitalism, si definiscono stakeholder tutti i soggetti che possono influenzare oppure che sono influenzati dall’impresa.
L’impresa deve tener conto anche di quanti non hanno potere diretto su processi e profitti, ma ne subiscono le conseguenze.
Il dibattito si spinge oltre, dicendo che non solo l’impresa non deve far scendere il benessere attuale delle persone, ma deve accrescere la ricchezza generale, e tener conto anche dei portatori d’interesse “passivi” che non sono in grado di condizionarla in un secondo senso: lo stakeholder è il soggetto il cui raggiungimento degli obiettivi personali dipende dall’impresa.
Da Kant riprende l’idea del regno dei fini, per la quale nessun uomo può essere solo un mezzo delle azioni di altri uomini, ma deve essere anche un fine; la finalità dell’essere umano è un imperativo categorico.
L’impresa è intesa come luogo di mediazione fra gli interessi talora contrastanti degli stakeholder, e camera di compensazione in cui ciascuno raggiunge i propri fini. I diritti della società prevalgono sui diritti di proprietà degli azionisti.
Fra i diritti degli stakeholder primeggia il diritto alla felicità, che vincola l’impresa poiché i loro obiettivi dipendono da ciò che fa l’azienda. Nell’interpretazione di alcuni studiosi sono comprese anche le aziende concorrenti.
Nel fare strategia diviene rilevante l’ambiente esterno in generale e non un’analisi di ogni stakeholder. L’ipotesi non vale per i concorrenti, perché le loro azioni non sono attivate solo in reazione al fatto che l’impresa viene meno a standard minimi di certe prestazioni, ma anche in maniera autonoma e proattiva.
Soddisfarne le esigenze e le aspettative è difficile perché i soggetti sono di natura differente, spesso gli obiettivi non sono chiari ai soggetti stessi e spesso questi sono contrastanti.
A ciò si aggiunge un ulteriore argomento economico, secondo il quale un’impresa non può sopravvivere nel lungo periodo avendo l’opinione pubblica avversa, perché a lungo termine qualunque soggetto diventa influente e vitale, ossia stakeholder, specialmente se non è stato considerato nel passato.
Un’anticipazione di tali concetti appare in una pubblicazione edita nel 1968 dall’economista italiano Giancarlo Pallavicini, ideatore del “Metodo della scomposizione dei parametri” per il calcolo dei risultati non direttamente economici dell’attività d’impresa, riguardanti istanze etiche, morali, sociali, culturali ed ambientali.
(fonte: it.wikipedia.com/wiki/Stakeholder)
Per concludere, quando dunque cominceremo a ricevere materie prime, semilavorati o servizi improntati sull’eco-sostenibilità, potremo con più determinazione intraprendere il nostro percorso green, sapendo di poter contare sull’aiuto, interessato ma certificato, dei nostri fornitori stakeholder.