coronavirus: ogni problema nasconde un’opportunità II

Desidero innanzi tutto ringraziare tutti quelli che hanno contribuito al successo di lettura del primo articolo su Coronavirus; partendo da LinkedIn e da Facebook, molti hanno deciso di leggerlo.
Di seguito altri “problemi” e altre “opportunità” che l’attuale situazione può far scaturire, una volta che comincerà ad essere veramente sotto controllo.

Sanità

Il tema della Sanità al tempo del Coronavirus è quanto di più importante e delicato ci possa essere. Rappresenta l’anello di congiunzione tra dolore e gioia, sconfitta e vittoria, vita e morte, solitudine e affetti.

Se la vita è «sacra», antropologicamente parlando, allora il lavoro degli addetti alla Sanità coinvolti nella lotta contro il Coronavirus racchiude in sé un valore «sacrale», sebbene il “day by day” sia molto più calato nell’umanità spiccia, simile allo spirito dei tempi di guerra.

In queste settimane sono state dette molte cose a proposito del Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto in riferimento al passato, che di seguito brevemente riassumo: 1) investimenti via via ridotti nel tempo; 2) ridotta considerazione nei confronti della categoria dei medici del servizio pubblico, incluso il contenimento degli stipendi a livelli inaccettabili e disincentivanti; 3) gestione non omogenea della sanità nelle varie regioni d’Italia.

Tuttavia prevale in queste giornate convulse, senza ombra di dubbio, il grande senso di responsabilità, abnegazione e sacrificio, anche umano, che il comparto degli operatori sanitari, a tutti i livelli, in tutte le funzioni, e sicuramente in tutte le regioni colpite dall’epidemia, mettono in campo per aiutare i cittadini malati a ritrovare la serenità.

Il valore dei simboli, della storia e dei riferimenti culturali è tuttavia parte dei comportamenti virtuosi: grazie ai simboli di riferimento, il comportamento dei nostri medici e dei loro più stretti collaboratori trova unità e senso compiuto.
Il primo di questi riferimenti, al tempo simbolo, storia e cultura, è il «Giuramento di Ippocrate», che tutti i Medici italiani attualmente operativi hanno a suo tempo fatto proprio, prima di iniziare la professione.

Riportiamo nel box il testo dell’ultima versione del giuramento, che risale al 2014, in cui abbiamo evidenziato 4 punti particolarmente significativi, che affermano che i principi guidano i comportamenti collettivi, soprattutto in situazioni di particolare tensione.

Il Giuramento di Ippocrate spiega infatti molto dell’abnegazione e dello spirito di sacrificio espresso dai Medici in questo periodo.

Giuramento di Ippocrate

«Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

• di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione;
• di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale;

• di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute;
• di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte;
• di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato;
• di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa;
• di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto dell’autonomia della persona;
• di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina, fondato sul rigore etico e scientifico della ricerca, i cui fini sono la tutela della salute e della vita;
• di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
• di ispirare la soluzione di ogni divergenza di opinioni al reciproco rispetto;
• di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità;
• di rispettare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che osservo o che ho osservato, inteso o intuito nella mia professione o in ragione del mio stato o ufficio;
• di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione.»

Altro simbolo rilevante è la bandiera italiana, simbolo della comunità e del territorio in cui viviamo.
Il simbolo della nazione accomuna tutti, e contribuisce a tenere legate tra loro le diverse figure professionali del Servizio Sanitario.

Tutti i camici, tutte le tute utilizzate per lavorare dovrebbero, in questo momento, portare il Tricolore. Ciò non è facile da attuare, ma abbiamo ricreato la situazione ideale nell’immagine di copertina.

Ma la questione è: qual è la lezione che dobbiamo fare nostra, e che rappresenta l’opportunità che deve scaturire dal problema, dal punto di vista del Servizio Sanitario?

Tale opportunità a mio avviso risiede: 1) nel valore e nel rispetto da riconoscere alle persone che ne fanno parte e alla loro professionalità e, 2) nel sostegno politico al Servizio, che è fatto di tante cose, e tra queste risultano particolarmente rilevanti organizzazione e strumenti di lavoro, visto il sacrificio di vite umane lasciato sul campo di battaglia.

Mai come ora la vita umana ha acquisito valore: mettiamo in condizione chi si prende cura di noi di preservarla fino in fondo.

Relazioni Sociali

Se il Servizio Sanitario Nazionale presenta delle evidenze su cui il governo deve lavorare, per migliorarlo, le nostre relazioni sociali sono destinate purtroppo a modificarsi in modo netto e duraturo, ma non in meglio.

«Distanziamento sociale», questa la parola chiave del momento.

Inutile negarlo, questa attitudine alla distanza dovremo farla nostra per un bel po’ di tempo, ma non per sempre, fortunatamente; tuttavia è prevedibile che anche dopo il suo definitivo superamento, un certo grado di «distanziamento sociale» potrebbe sopravvivere nelle nostre relazioni.
Risulta fin troppo chiaro che il «distanziamento sociale» sarà «il problema» quando finalmente potremo uscire di nuovo dalle nostre case; la contaminazione avrà probabilmente conosciuto il famoso «picco», i contagiati e i decessi avranno iniziato a calare progressivamente, ma ciò non vorrà dire che sarà possibile riprendere le nostre attività e le nostre abitudini come prima: la pandemia non sarà del tutto sotto controllo, tantomeno nelle nazioni dove si è sviluppata più tardi; se dovessimo agire irresponsabilmente saremmo degli incoscienti: tutto potrebbe ripartire come prima e più di prima.

Come ha spiegato molto bene il Fisico Paolo Giordano dalle pagine del Corriere della Sera, per sconfiggere il virus è necessario portare il numero riproduttivo R0 (erre con zero), cioè la stima della capacità di un singolo individuo infettato di infettare individui sani, al di sotto di 1; il Coronavirus, in condizione di sviluppo non controllato (quindi senza «lock down» né vaccinazioni), sembra avere un numero riproduttivo pari al 2,5, ma tale dato può variare da paese a paese.

Allora qual è l’opportunità che si nasconde dietro un simile problema, in questo caso?
Stento onestamente a vederla. Qui ci vuole molta pazienza e creatività.

Forse ritroveremo intensità nelle parole e negli sguardi, negli occhi, nei gesti eleganti e coinvolgenti, nelle declamazioni e nella scrittura. Che il Romanticismo, la cultura e le belle maniere ci possano essere di aiuto?

Dovremo organizzare le nostre riunioni di lavoro sempre con degli schermi davanti a noi? Potremo discutere «de visu», ma solo a debita distanza? Potremo fare sport a squadre solo se protetti da maschere speciali?
Cosa mi dite del football, del rugby, del basket …?
La lista delle problematiche inerenti il «distanziamento sociale» prolungato è molto lunga, quasi infinita.

Gli scienziati però ci dovrebbero aiutare in fretta a capire come dobbiamo comportarci con alcune delle nostre attività sociali più intime, quali ad esempio il corteggiamento, i sussurri, i baci, le carezze, il sesso … sesso inteso come massima espressione di socializzazione degli umani, ma anche come situazione che favorisce la riproduzione della specie.

Covid-19 non è paragonabile all’AIDS, ma non è per questo che non stia mietendo le sue vittime.
Covid-19 non si trasmette attraverso l’atto sessuale, ma non ci vuole un genio per capire che la pratica sessuale comporta “rischi” da contagio evidenti.

Mi aspetterei tra questo e il prossimo anno, in Italia, un sensibile calo delle nascite; detto tra noi, l’Italia non ha proprio bisogno di cedere ulteriormente sul tema delle nascite.

59 sarà il numero che potrebbe contraddistinguere il nostro paese nel 2021, e se ciò dovesse accadere, non sarebbe un bel momento.
In pratica, tra diminuzione delle nascite e incremento dei defunti, la popolazione italiana, a fine 2020, potrebbe scendere sotto la soglia psicologica dei 60 milioni.

Anziani

Il numero di persone della terza e quarta età che stiamo perdendo è veramente alto.
Anche su questo tragico argomento quasi tutto si è detto e niente può colmare la tristezza e il dolore che queste perdite rappresentano per la nostra comunità.

Il paradosso è che gli italiani, notoriamente uno tra i popoli più longevi della Terra, siano costretti dalle circostanze a «cedere» anche sul fronte della longevità, che è uno dei vantaggi del nostro essere italiani.

Piove sul bagnato.

Mi soffermerei tuttavia su un aspetto, che è nuovo per la nostra società, e che neanche nelle ultime guerre è stato vissuto dai nostri padri e dai nostri nonni e bisnonni in modo così crudo, e cioè la «distanza» (ancora una volta questa è la parola chiave) che si frappone tra i defunti e i loro cari, proprio nel momento in cui sarebbe necessario accompagnarli fino alla tumulazione.

Nessuno dei contemporanei potrà mai dimenticare il lungo convoglio di mezzi militari che da Bergamo hanno a più riprese trasportato le bare verso la cremazione.

La nostra cultura vede nella morte un passaggio necessario, ma carico di solennità, riti religiosi e anche bellezza; la disumanizzazione forzata degli eventi recenti racchiude tuttavia un unico valore che dovremmo sforzarci di cogliere, magari rivalutandolo: la preservazione del valore dell’umanità, della continuità della specie, seppure in un contesto dove la labilità della vita è posta in grande e disarmante evidenza.

Dall’inizio della comparsa dell’Homo Sapiens sulla Terra, si calcola che circa 100 miliardi di nostri simili siano passati da qui prima di noi, e di questi nostri simili la storia ci consegna i nomi, le gesta, ma in alcuni casi anche le nefandezze solo di una piccolissima parte di loro.

Senza nulla togliere al senso di vuoto e di dolore che in questi giorni la «distanza» può provocare nelle famiglie colpite direttamente, l’importante è trattenere il valore che i propri cari abbiano contribuito (in vita) allo sviluppo dell’umanità, secondo uno schema a immagine e somiglianza umana, quindi, nel bene e nel male, non propriamente rispettoso delle regole della natura.

Il progresso è in gran parte responsabile di questa pandemia; tuttavia il «progresso» non deve essere interrotto, ma «accordato» come un pianoforte, rispettando il più possibile l’armonia della natura.

Seguiranno altri due articoli che parleranno di solidarietà e di lavoro.