coronavirus: ogni problema nasconde un’opportunità

La frase del titolo, attribuita a Galileo Galilei, può essere riferita a tutte le situazioni, e il senso è sempre lo stesso: dietro ogni situazione di crisi è sempre possibile cogliere un’opportunità che può portare a un cambiamento, anche radicale, delle situazioni, delle attività e della storia.
Ci piace pensare che anche col Coronavirus sia la stessa cosa, ma l’opportunità di cambiamento a cui ci riferiamo è più alta, e riguarda il pensiero umano e il modo di interpretare le relazioni.
La pandemia Covid-19 non sfugge dunque a questa regola, e per certi versi potrebbe rappresentare un passaggio veramente epocale.
Conseguenze negative e conseguenze positive sono entrambe possibili, e non riguardano solo il punto di osservazione da cui si osservano: in pratica non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, bensì alcuni bicchieri sono sicuramente “mezzo pieni” ma altri sono decisamente “mezzo vuoti”.
Molto dipenderà dalle scelte e dalle decisioni che l’umanità nel suo insieme sarà in grado di mettere in campo, e di sostenere nel tempo.
Globalizzazione
Che l’infezione pandemica da Coronavirus sia figlia della globalizzazione non ci sono dubbi, ma rispetto alle “epidemie” del passato sembra essere molto più presente nelle nostre vite.
Non c’è una memoria così traumatica tra noi delle infezioni occorse dall’inizio del secolo, e che sono state almeno 3: la SARS-Cov 1 (2003), che è la più famosa perché appunto simile alla SARS-Cov 2 (Covid-19), partita dalla Cina, l’A/H1-N1 (2005), il virus dell’influenza suina, partita dal Messico, l’influenza aviaria H5N1 (2004), partita dal Sud-Est Asiatico; tutte hanno lasciato dietro di sé numerosissimi infettati e deceduti, ma non come il Covid-19, sebbene siamo a pochi mesi dalla sua diffusione.
In questo elenco includerei anche l’AIDS, la cui diffusione non è stata banale, per niente contenuta, e comunque da un certo punto di vista figlio della globalizzazione.
L’infezione da Coronavirus è dunque una conseguenza della globalizzazione, e questo è decisamente l’aspetto negativo della situazione, nel senso che il virus si è propagato molto velocemente non solo per le sue caratteristiche infettive ma anche per la mancanza di barriere tra i contatti umani, a tutti i livelli e in qualsiasi parte del globo; ma se si guarda al fatto che, assoluta novità nello scenario globale, si sia praticamente da subito attivata la collaborazione e lo scambio di informazioni tra i paesi colpiti o potenzialmente tali, al di là del coordinamento dell’OMS, l’infezione da Coronavirus rappresenta un banco di prova importante, se non un’evidenza, che d’ora in poi qualsiasi problema umano andrà (o andrebbe) gestito a livello globale; ciò non è solo sensato, non è solo opportuno, ma è necessario per il futuro dell’umanità.
L’umanità, con il Coronavirus, sta semplicemente prendendo coscienza che la sua spinta alla globalizzazione va semplicemente gestita, bisogna prendere il buono e lasciare il cattivo di questa spinta.
Sostenibilità
Uno degli effetti della momentanea ridotta attività umana, a cominciare dalla Cina, è l’immediata riduzione della richiesta di petrolio greggio, con conseguente riduzione del costo al barile e concausa di pesanti ripercussioni nelle borse di tutti i paesi coinvolti.
La Terra sembra dunque “respirare meglio” grazie a questa pandemia.
È abbastanza probabile che la riduzione dei consumi di energia da fonti fossili rimanga più bassa a lungo; infatti saremo probabilmente a lungo chiamati a razionalizzare le nostre attività, ad agire solo in caso di stretta necessità, ad essere portati (e questa è una conseguenza legata alla nostra psicologia) a riflettere di più prima di agire, ad essere meno impulsivi e quindi meno energivori.
Una ridotta emissione di CO2 e di gas serra non può che far bene alla Terra, anche se sembra che il processo di riscaldamento del pianeta sia ormai un processo difficilmente arrestabile.
Tuttavia rendersi conto che anche con una sensibile riduzione delle attività, e quindi dei consumi, la nostra vita potrebbe anche acquistare un diverso valore, potrebbe essere nel medio – lungo periodo di grande aiuto per gli equilibri climatici.
10 anni fa Serge Latouche proponeva, attraverso le sue opere, la necessità di una «decrescita felice».
Questa teoria non ha mai veramente attecchito, perlomeno non su larga scala e non certo tra le economie più coinvolte nella globalizzazione.
L’idea di dover rinunciare a qualcosa (o a molte cose) in nome della salvaguardai del pianeta non è mai stato veramente attrattivo, va riconosciuto.
In questa fase stiamo assistendo alla «decrescita imposta dal Coronavirus», che non è certo «felice» ma «subita», necessaria.
Staremo a vedere se questa fase di privazione porterà a nuove consapevolezze.
«Stranded Assets»
Jeremy Rifkin, nel suo ultimo saggio «Un Green New Deal Globale», parla ripetutamente della rilevanza dei cosiddetti «Stranded Assets», letteralmente “Attività (Economiche) Incagliate”, attività industriali, mercati che per varie ragioni si trovano a soffrire svalutazioni di carattere strategico.
Rifkin pone l’accento sul rischio, ma anche sulla evidenza, che entro la fine di questo decennio tutta l’industria energetica da fonti fossili potrebbe diventare velocemente un enorme «Stranded Assets», con conseguenze molto significative per l’economia e per l’umanità.
Ciò è tecnicamente possibile, sempre secondo Rifkin, in quanto la ricerca, la riduzione dei costi di produzione delle infrastrutture e il conseguente sviluppo dell’industria energetica da fonti rinnovabili e a basso impatto ambientale, a costo marginale quasi 0, sta crescendo molto velocemente e in maniera inarrestabile: secondo una lunga serie di esperienze in ambito economico, quando una nuova industria energetica è in grado di garantire a costi inferiori (costo economico ma in questo caso anche ambientale) circa il 15 % del totale, quello è il momento in cui il vecchio sistema può diventare rapidamente obsoleto e velocemente sostituito dal nuovo, grazie al fatto che tutti gli investimenti strategici a livello globale passerebbero da un sistema all’altro, determinando la rapida fine dell’uno e la definitiva affermazione dell’altro.
Milioni di posti di lavoro verrebbero dunque messi in seria discussione (nella migliore delle ipotesi riconvertiti), miliardi di dollari di valore persi in breve tempo, sconvolgimenti globali sia nell’industria, sia nella politica, sia nel welfare etc.
Il cambio epocale relativo alle energie che molti di noi aspetta con ansia (i più sensibili all’ambiente) e altri vedono come probabile o inevitabile, potrebbe rappresentare un grandissimo problema per l’umanità intera.
«Davanti a noi, adesso, c’è l’età della resilienza», afferma Jeremy Rifkin; verrebbe quasi da dire che, da un certo punto di vista, sarebbe meglio rimandare tale «switch», ma al tempo stesso il cambiamento sembra essere necessario; non è cosa di poco conto.
Questa riflessione è utile rispetto al Coronavirus in quanto, al di là del serissimo problema, potrebbe essere un buon banco di prova “globale”, utile per affrontare una serie di sconvolgimenti che molto presto saremo chiamati tutti ad affrontare, a partire dal decennio corrente.
Ritorno al «locale»
La necessaria ridotta mobilità occorsa repentinamente nelle nostre vite sociali, non risparmia le nostre attività produttive, e in ragione della progressione pandemica dell’infezione, probabilmente porterà alla riduzione se non al blocco temporaneo di molte attività economiche tra i mercati, che fino a poche settimane fa erano globalizzati.
Si potrebbe auspicare una rinascita del locale, inteso come valorizzazione della manifattura e della produzione interna a vantaggio del mercato interno, con conseguente tenuta, seppur “molto” parziale, dell’economia del paese Italia.
In realtà, tenuto conto della dimensione comunque relativa del mercato interno Italia rispetto alla somma degli altri mercati potenzialmente raggiungibili, a cui con grande impegno le aziende italiane si sono rivolte a partire dal 2008, proprio per far fronte alla drastica riduzione della domanda interna, dovuta all’ultima grande crisi economica, non credo che la rinascita del locale rappresenti una concreta opportunità per uscire dalla crisi, ma almeno potrebbe essere in parte un modo per ricostruire un rinnovato legame tra l’industria italiana e il mercato degli italiani.
Per esperienza diretta, conoscendo abbastanza bene il tessuto produttivo italiano, con particolare riferimento al nord Italia, è molto raro trovare ormai un’azienda italiana di produzione, soprattutto PMI, che non sviluppi almeno il 50% / 70% del proprio fatturato all’estero.
Il mercato italiano può anche diventare improvvisamente più ricettivo, ma è improbabile che possa sostituire l’export.
Quindi qualsiasi voce o sirena che spinga verso una visione “autarchica” è praticamente assurda, falsa: solo ripartendo con l’export, sebbene in modo nuovo, sarà possibile preservare il nostro sistema paese.
Politica
Come per incanto le liti tra raggruppamenti e coalizioni si sono volatilizzate, o perlomeno rimangono di basso profilo.
Naturalmente è logico e responsabile mettere in atto una tregua, sebbene le logiche della politica sicuramente non vanno a riposo, ed è solo un «fuoco che arde sotto la cenere».
Ma nella politica contemporanea la visibilità è tutto, e quindi c’è qualcuno che, in nome dell’urgenza e della necessità di agire di concerto, mette a profitto una presenza strategica sui media.
Mi ha colpito la dichiarazione di un osservatore chi sostiene che Donald Trump, a causa del Coronavirus, se non sta attento e continua a sottovalutarne l’impatto, potrebbe perdere addirittura le elezioni, cosa che attualmente sembra improbabile.
Infatti, se negli Stati Uniti ci fosse una progressione improvvisa dell’infezione e se Trump continuasse a minimizzare, la sua immagine verrebbe irrimediabilmente deteriorata, anche perché le decisioni che verrebbero prese andrebbero a impattare negativamente sulla produttività interna, suo cavallo di battaglia da sempre.
Non a caso poche ora fa Trump ha annunciato il blocco per un mese di tutti i voli passeggeri da e per l’Europa, la prima vera ammissione che il problema esiste e non va sottovalutato.
Dopo solo poche ore la situazione in USA è già cambiata di nuovo, i provvedimenti cominciano ad arrivare, ma la portata del problema purtroppo ancora tutta da valutare.
In altre parole, il Coronavirus mette a dura prova la capacità dei leader di gestire una situazione complessa e assolutamente nuova.
Si agisce su un terreno molto instabile, dove tutto può cambiare e naufragare in un istante oppure avere un’evoluzione favorevole ma in tempi decisamente medio lunghi e quindi l’errore fatale può essere sempre dietro l’angolo.
#milanononsiferma, sposato subito dal sindaco Sala, la mascherina del presidente Fontana, il «da noi in Veneto la situazione è diversa» del presidente Zaia, la pizzata del segretario Zingaretti a Milano sono tutti scivoloni mediatici, peccati veniali in quanto assolutamente bipartisan e frutto di scarsa conoscenza oggettiva, ma comunque pericolosi per l’immagine dei leader.
Seguirà un nuovo articolo sullo stesso tema su sanità, relazioni sociali, anziani, solidarietà e lavoro
maurizio bizzozero
Ciao Alberto
Utilizzo questo canale in primis perché non sono un socialskilled e, conseguentemente, non riesco a tenere botta ai commenti su wa.
Seguo il tuo blog e trovo sempre spunti interessanti. Non sempre sono in accordo con le tue tesi, ma Hegel ci insegna che solo dall’incontro tra tesi e antitesi nasce una sintesi superiore, che, per quel che mi riguarda, è l’unica in grado di far compiere progressi ai singoli e alla collettività. Beh, a volte, trovo non immediate le tue riflessioni, ma ciò dipende, probabilmente, dai diversi ambiti professionali in cui operiamo.
Alle tue considerazioni riguardanti le prese di posizione di BJ ne aggiungo altre personali, visto che il premier britannico non mi sembra un genio dal punto di vista politico, per cui fatico a comprendere quelle che possono essere le motivazioni alla base del sue scelte.
La prima riflessione che aggiungerei alle tue è che noi stiamo vivendo il primo periodo storico privo di “grandi guerre”. Anche il mio può sembrare un pensiero cinico, ma credo che la Terra trovi suoi escamotage per mantenere un certo equilibrio. Prima c’erano le guerre a mietere vittime, ora ci sono i virus e i fenomeni naturali (anche se l’uomo ci mette del suo per esserne la causa efficiente…).
La seconda riflessione, conseguente alle tue, sta nel fatto che BJ ha ben inteso che il corona non è un virus che uccide, ma che richiede attrezzature, personale, strutture, in grado di far fronte all’emergenza di un numero eccessivo di pazienti bisognosi di cure. Ovviamente in Italia, paese in cui latita non solo una visione politica d’insieme, ma anche una vision che preveda, per quanto è possibile, gli accadimenti futuri e che si prepari a fronteggiarsi, sono state devastate attrezzature, personale e strutture. A volte, chiacchierando con altre persone, ricordo che il titolo di uno dei temi della nostra maturità era sulle fonti alternative di energia visto che eravamo in clima austerity. Oggi, dopo 40 anni, siamo ancora nelle condizioni che si alzi il vento o cada la pioggia per abbassare il livello delle polveri sottili. E sono convinto che al prossimo terremoto (l’Italia è territorio altamente sismico) assisteremo alla solita processione di esperti che ripeteranno i medesimi discorsi di quando ci fu il terremoto in Irpinia.
Forse in GB hanno attrezzature, personale, strutture più pronte a rispondere all’attacco del virus (non conosco così profondamente la sanità inglese). Forse sono più disciplinati e meno ansiogeni di noi mediteuhrranei (sicuramente).
Come si usa dire: ad maiora.
Maurizio Bizzozero
Alberto Sgheiz
Carissimo Maurizio, mi ha molto sorpreso ricevere il tuo messaggio, ma ovviamente anche molto piacere.
Come puoi immaginare gestire un blog richiede impegno, ma è anche molto stimolante; il fatto che tu lo segua e me lo faccia sapere è per me una soddisfazione, a prescindere.
Mi fa anche piacere sapere che anche tu ti senta a volte poco a tuo agio nella chat 5^ C; a volte è necessaria molta pazienza!
Ho deciso comunque di rimanere coerente con me stesso; a volte sto al gioco e altre volte mi affaccio esprimendo il mio punto di vista, sentendomi libero di dire la mia, e se nessuno si aggancia non importa: l’importante in questo caso è partecipare.
A proposito di BJ ho avuto modo di parlarne, come sto facendo con te, con Maurizio (l’altro), che mi ha spiegato che secondo la sua analisi (sai che si interessa di politica internazionale) BJ pare sia uno dei politici più preparati, bravi, lungimiranti e intelligenti a livello mondiale, e ciò non per affinità politica (o non solo), ma anche proprio per ragioni oggettive; la sua storia è particolare: nato da famiglia molto povera e umile, sin da bambino si è dimostrato così sopra la media che è stato economicamente aiutato a studiare nelle migliori scuole inglesi.
Le sue scelte impopolari sarebbero dunque il frutto di una visione, di coraggio politico e di scelte appunto politiche, e non dettate dall’umore dei sudditi.
Teniamo anche presente che gli inglesi sono diversi da noi, anche e soprattutto nei riguardi del concetto di guerra e di lotta, disposti dunque a lasciare dietro di loro “lacrime e sangue”, per dirla alla Churchill.
Quindi ho imparato che dietro le scelte di BJ non c’è stupidità o scarsa visione ma ben altro.
Ciao caro e a presto
Alberto