Il caso Milano – Cortina 2026.
È possibile una più stretta collaborazione tra Lombardia e Veneto nel Temporary Management?

Nella mia recente esperienza di Temporary Manager, alla ricerca di nuove missioni di Fractional Management, come Maurizio Quarta ci ha insegnato a definire in un suo recente articolo, mi sono trovato diverse volte a vivere situazioni di confronto con imprenditori veneti, potenziali committenti, dai quali ho percepito un sentimento di pregiudizio nei confronti dei “milanesi”, una categoria di manager molto ben definita e “riconoscibile”, di cui credo di far parte.

Avendo il dubbio che il problema potessi essere io, ho chiesto a dei colleghi veneti se secondo loro questa percezione fosse condivisibile.

La loro risposta è andata al di là delle mie impressioni, nel senso che «sì, assolutamente», è possibile che alcuni imprenditori veneti (molti, secondo loro) soffrano di pregiudizio nei confronti dei manager milanesi.

Superare sé stessi

Più avanti andremo a definire le caratteristiche dei milanesi invise a questa categoria di imprenditori, ma nel frattempo l’opportunità offertaci dalla notizia dell’assegnazione dei Giochi Olimpici invernali 2026 a Milano e Cortina ci tende una poderosa mano per superare questa impasse, nel caso venisse confermata dall’esperienza di altri, e dare origine a una nuova fase, basata su una più stretta collaborazione tra Milano – Lombardia e Cortina – Veneto, intendendo idealmente per Cortina tutte le città delle tre Venezie.

L’evento di cronaca sportiva in sé è emblematico, non solo per l’oggettiva opportunità, ma anche per il fatto che persone con diverso orientamento politico, in Italia, nota terra di campanilismo, abbiano potuto collaborare e ottenere un così splendido risultato.

L’obiettivo finale è stato dunque il vero movente, e soprattutto il valore aggiunto che ogni singolo elemento ha potuto portare all’insieme del progetto, lombardo, veneto o italiano che sia.

Vicenza, Padova e dintorni

Torniamo all’esperienza diretta, tra Milano, Vicenza, Padova e dintorni.

La tesi che intendo sostenere è che alla base c’è un approccio soprattutto di pancia, invece che di testa, da parte degli imprenditori, e questo genera pregiudizi molto forti e conseguenti potenziali problemi di comunicazione.

Le caratteristiche milanesi “invise” agli imprenditori veneti che sembrano dunque, in parte, popolare lo scenario produttivo del nord est, riguardano soprattutto 3 fattori:

  1. Arroganza / Auto compiacimento
  2. Loquela / Parlata
  3. Praticità / Molta teoria e poca operatività
Arroganza / Auto compiacimento

L’epiteto tipico con cui si tende definire, universalmente, un milanese, è “ baüscia ”.

Certo, ci sono diversi prototipi del “ baüscia ”, e devo dire che non mi sto riferendo al prototipo del “milanese imbruttito”, che rimane “solo” una caricatura; in effetti, tra i colleghi temporary manager che io conosco, non ravvedo alcun caso assimilabile, nemmeno lontanamente.

Diciamo che l’inflessione lombarda, con qualche vocale “aperta” di troppo, ma soprattutto la probabile esperienza in grandi aziende multinazionali, un curriculum e una formazione di buon livello e ultimamente, dopo Expo 2015, anche un certo orgoglio di vivere in questa area dell’Italia, gioca sicuramente a sfavore, cioè irrita e allontana, più che avvicinare il nostro imprenditore.

La questione è di difficile soluzione, pensandoci bene, perché comunque un manager, professionalmente parlando, rappresenta quello che ha fatto nel suo passato e non può quindi essere considerato “venuto su” dalla gavetta, o figlio del territorio.

È più che nota la predisposizione veneta nell’utilizzo del dialetto anche sul luogo di lavoro, per conferire tra colleghi.

Il grande valore che il Veneto ripone nella sua cultura è sicuramente parte del suo successo, ma al tempo stesso è parte dell’incomprensione alla base di queste considerazioni.

Loquela / Parlata

Suggerisco vivamente ai colleghi milanesi un corso intensivo di dizione; forse così il problema relativo alla parlata potrebbe essere brillantemente superato.

A parte la boutade ironica, credo invece che nel caso di specie prevalga la provenienza territoriale del manager rispetto al modo in cui si esprime.

I colleghi veneti intervistati mi hanno messo sulla strada di una possibile comprensione del fenomeno.

Una certa imprenditoria veneta, molto laboriosa e molto concreta, partita dal niente, e ora benestante, quindi orgogliosa delle proprie origini, in fondo soffre, da un certo punto di vista, di un senso di inferiorità nei confronti dei milanesi.

Non credo sia un problema di qualità di vita: il Veneto non deve invidiare niente a nessuno; non credo neanche che il problema possa essere la ricchezza: anche in questo caso i veneti sono messi molto bene; credo invece che il problema riguardi la volontà di evolvere, di crescere al passo con l’Europa che conta, di essere appunto (Milano) l’unica vera città europea d’Italia.

Milano si espande, cresce, si apre al futuro, tiene insieme passato, presente e futuro, attrae capitali stranieri etc, cioè fa quello che le grandi città europee fanno, da molto tempo, per stare agganciati al mondo che cambia.

Ecco una differenza che può creare senso di inferiorità, a cui si sopperisce appunto evitando l’influenza milanese, invece di accoglierla, valorizzando all’estremo il proprio essere veneti, invece che cittadini del mondo.

Credere di essere al centro del mondo in quanto produttivi, ricchi, sicuramente innovatori, esempio mondiale di efficienza, stride con chi ha i riflettori puntati addosso come esempio vincente, ma del terziario avanzato.

Per certi versi, ciò può essere un po’ frustrante.

«I milanesi parlano, noi lavoriamo.» Mi sembra un po’ questo il nocciolo della questione, ma in realtà si tratta di un luogo comune, non di una verità provata.

Praticità / Molta teoria e poca operatività

Nei miei colloqui di presentazione, ma anche nelle mie missioni in veneto, ho sempre avuto l’impressione che il fatto di parlare, di esprimere punti di vista, di contribuire con nuove idee, nuove visioni, fosse più un limite che un’opportunità, per i miei interlocutori.

Sempre a testa bassa, un po’ vittime del giudizio molto positivo che paesi come Austria e Germania hanno del Veneto, ciò probabilmente influenza molto il “pregiudizio” nei confronti di chi, come i milanesi, appunto, trovano normale anteporre alla pratica la teoria e la strategia.

Mi sono trovato in situazioni paradossali, dove per il solo fatto di aprire bocca, ed esprimere un concetto, secondo lo schema più consolidato dello story telling, che tende a raccontare i fatti in modo coinvolgente, ha suscitato quasi irritazione da parte del mio interlocutore, al punto da trovare una scusa per interrompere a metà il discorso.

Certo, l’approccio classico al business del Temporary Manager prevede che in presenza di un cliente visibilmente ben lontano dall’essere sedotto, professionalmente parlando, tu hai due possibilità: 1) cercare di convincerlo affinando ulteriormente la tecnica oppure, 2) “mollare l’osso” e guardare altrove.

È ora di collaborare, no?

L’assegnazione a Milano – Cortina dunque ci viene incontro, indicandoci una strada maestra da seguire.

Lombardia e Veneto possono essere molto forti e vincenti, insieme.

Qualche suggerimento dunque mi sentirei di farlo agli imprenditori veneti, anteponendo, per quanto mi riguarda, una giusta dose di “modestia”.

Diciamo che sono delle regole auree per gestire e sfruttare, in senso favorevole, le caratteristiche dei manager “milanesi”, nei confronti delle PMI venete.

  1. Il futuro ha bisogno di strategia, non solo di operatività; quindi se si incontra un manager autorevole che suggerisce l’importanza di spendere del tempo per definire una solida strategia, il suggerimento è di ascoltare, prima di giudicare;
  2. La tradizione è un valore importante, ma le sfide future hanno bisogno, per essere vinte, di tecnologia sempre aggiornata e relazioni paritetiche con i luoghi dove si prendono decisioni importanti;
  3. Un manager che si presenta parlando, avendo visioni, non è solo un teorico, ma è semplicemente uno che ragiona; metterlo alla prova e valutare anche la sua capacità di adattamento è un dovere, prima ancora che un’opzione. Ricordiamoci che il Temporay Management è sì una forma di consulenza, ma che fa dell’operatività il suo punto distintivo;
  4. È importante oggi essere considerati dagli stakeholder come dei partner e non dei meri produttori con un buon rapporto qualità – prezzo; ciò vale soprattutto nella relazione con i nostri clienti esteri.

Probabilmente ci sono infiniti esempi di collaborazioni virtuose e di successo tra manager milanesi e aziende venete; non è mai opportuno generalizzare.

Diciamo che l’occasione dell’assegnazione a Milano – Cortina ha reso possibile esplicitare un’esperienza professionale personale, che altrimenti sarebbe rimasta inespressa e che, a quanto pare, sembra non essere unica nel suo genere.

Chiuderei con le parole del sindaco di Milano, Beppe Sala.

Mi preme evidenziare prima che in origine il Sindaco Sala non era un politico, ma un manager.

Alla domanda: «Qual è il primo passo verso il 6 febbraio 2026, ora che l’assegnazione è un fatto?»

La risposta è stata: «La Governance.»

Non è forse «la Governance» qualcosa che precede l’operatività?