se bastassero le tasse sulle merendine

Quando è stata resa nota l’intenzione del nuovo governo di tassare merendine e bibite gassate mi sono chiesto da quale mente illuminata fosse partita l’iniziativa.

Lungi dal voler essere ironico su questa affermazione, il paradosso è che c’è un’insolita profondità in questa «non probabile» iniziativa, il cui potenziale valore sarà decisamente più chiaro entro la fine di questo articolo.

È da alcuni mesi che rifletto su come affrontare con efficacia la necessaria riduzione dei consumi nefasti per l’ambiente, da parte di tutti, partendo in primis da noi e non necessariamente dalla solita politica, non già perché la politica non sia coinvolta, ma perché l’eventuale azione della politica non sarebbe sufficiente a contenere il problema del riscaldamento globale, senza che anche il cittadino non ci metta del suo.

Il nostro corpo è una macchina economica

Chi spera nella tecnologia per ridurre o annullare il riscaldamento del globo terrestre non ha tutti i torti: in questa fase storica bisognerebbe proprio sperare in qualche miracolo tecnologico per ottenere dei risultati concreti.

Veniamo alla riflessione.

Il nostro corpo è una macchina molto economica, frutto di decine di migliaia di anni di adattamenti a situazioni difficili, dettate più spesso da scarsità di cibo, vere e proprie carestie e pestilenze, e non da opulenza e facilità di accesso al cibo.

Nella nostra epoca, dal dopoguerra ad oggi, è stato un crescendo di opulenza e di eccesso di cibo, cibo che non solo è diventato sinonimo di cultura, ma anche fine del nostro essere umani: «dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei.»

Ciò detto, non ci vuole un genio per capire che assumiamo regolarmente più calorie di quelle che ci servono per vivere in salute e che per sopportare l’inutile immagazzinamento di calorie siamo costretti a fare esercizi, a bere tisane, a seguire regolarmente diete ferree e nella peggiore delle ipotesi ad assumere medicinali.

Gente che cammina nei parchi come automi, non già per il piacere di passeggiare e chiacchierare, ma per far passare il giusto tempo e al giusto ritmo per bruciare i grassi in eccesso. Assurdo.

Poi, dall’altra parte, ci lamentiamo dell’inquinamento senza essere per niente promotori di nessuna vera iniziativa per cercare di contenere i consumi in eccesso.

La colpa è sempre della politica?

La colpa è sempre della politica, della finanza, della globalizzazione, si tende a dire; peraltro è vero, noi tutti sappiamo che il concetto di PIL non è esattamente il più adatto per contenere consumi e inquinamento.

Ma se la gente comune mettesse essa stessa, per prima, senza chiedere aiuto a nessuno, un freno ai consumi inquinanti, e se il fenomeno fosse globale, forse anche la politica, sentendosi esclusa e ormai obsoleta rispetto al sentire comune, sarebbe costretta a correre ai ripari modificando i perversi parametri di calcolo della crescita senza fine.

Mai come ai nostri tempi la politica è sensibile agli umori della gente, molto più che in passato.

Però non è facile capire cosa fare, come fare e soprattutto, perché fare certe cose per il bene del pianeta in cui viviamo.

Le dichiarazioni roboanti sulle riduzioni di emissioni di CO2 entro determinate date (-20% entro 2020, -30% entro 2030), sono efficaci dal punto di vista mediatico, sicuramente di sostanza se accompagnate da fatti, ma poco palpabili per le persone comuni, poco facilmente misurabili e in linea di massima sono adottate a macchia di leopardo, ma soprattutto sono poco educative; paradossalmente viene riversata sulla politica non solo la responsabilità delle emissioni ma anche la responsabilità di ridurle drasticamente; rivolgiamo il nostro sguardo arrabbiato verso gli altri e mai (o quasi mai) verso noi stessi.

E allora il nuovo corso alla base di questa proposta è di farlo per noi stessi e su noi stessi, paradossalmente senza curarci inizialmente del pianeta; in realtà facendo così, senza accorgercene, faremmo già molto per l’ambiente.

Pensare anche ai nostri comportamenti

Gli ambiti della nostra nuova azione di sostenibilità sarebbero da concentrare inizialmente proprio su tutto quello che attiene il nostro corpo: 1) cibo e bevande; 2) prodotti per la cura del corpo; 3) abiti e calzature; 4) attività fisica spontanea.

Nulla a che vedere dunque col concetto di decrescita felice di Serge Latouche, ma più semplicemente una riflessione più lucida su cosa effettivamente serva al nostro corpo per vivere, senza rinunciare all’essenziale.

Si può cominciare anche con un primo obiettivo (cibo e bevande) e poi passare al secondo (prodotti per la cura del corpo), quando pensiamo che il primo sia stato raggiunto e così via.

Tassare merendine e bibite gassate, meglio dire «piene di zucchero», non sarebbe quindi insensato, se rientrasse in un disegno più ampio, salvo però chiarire subito che oltre a non essere per niente sufficiente, né tantomeno utile, in realtà è fuorviante rispetto alla realtà dei fatti.

Pensate forse che tassando le merendine (o le bibite), la gente, i genitori, ridurrebbero l’acquisto di tali prodotti? Tecnicamente è possibile che ciò accada per una parte della popolazione, un mix tra la più sensibile e la meno abbiente, ma ciò non porterebbe a ridurre le calorie che figli e adulti continuerebbero a ingurgitare, se non siamo educati a fare ciò.

Forse ci sarebbe più sbattimento, perché invece che un semplice acquisto al supermercato, o al distributore automatico, molti tornerebbero al panino, ma in termini di calorie non ci sarebbe molta differenza, e oserei dire neanche nella qualità dei prodotti.

Se nelle merendine, si potrebbe sostenere, c’è spesso olio di palma, nel panino, se al salame o al prosciutto, non troveremmo l’anima della palma ma l’anima del maiale, e sfido chiunque a descrivere quale sia la differenza!

Un’esperienza personale

Vale la pena a mio avviso commentare ora un’esperienza personale, che riguarda le mie vacanze estive in Salento, nella seconda metà di agosto.

A colpo d’occhio, senza tema di smentita, ho notato che le spiagge erano affollate da esseri umani molto «pesanti», molto in sovrappeso, se non addirittura, purtroppo, prossimi all’obesità, e ciò a tutte le età, bambini compresi.

Quello che sto per dire non è piacevole, ma è la verità: il peso corporeo degli italiani è anche funzione della latitudine e della disponibilità economica media.

Salvo eccezioni, in linea di principio mi sembra che più vai a sud, e più trovi situazioni di obesità evidente.

Allo stesso modo, negli ambienti frequentati da persone con una certa disponibilità economica, il fenomeno pare ridursi sensibilmente.

Vediamo se le statistiche confermano questa impressione estiva.

Purtroppo è proprio così, c’è una netta differenza tra nord e sud Italia (fonte Il Sole 24 Ore, articolo del 11 maggio 2018 di Fabio Fantoni).

Tornando alle merendine e alle bibite gassate, l’impressione definitiva è che poco ci azzecca con il problema vero della popolazione italiana, e infatti, volendo sostenere la tesi empirica che guida questo articolo con dati oggettivi, basta andare su Google e digitare «consumi merendine in Italia» e subito vengono evidenziati dati che confermano che il maggior numero di merendine viene venduto al nord, con l’aggiunta di un altro elemento che sembra essere rilevante, e cioè che i giovani del nord fanno più sport dei loro coetanei del sud, confermando, se mai ce ne fosse la necessità, che anche l’attività fisica è importante per mantenere il peso forma.

Quindi l’apparente finezza e lungimiranza della proposta del governo italiano di tassare merendine e bibite gassate in realtà non è legato al tema dell’obesità, dell’educazione «forzata» a comportamenti alimentari più consoni e responsabili, ma da logiche che sembrano essere soprattutto politiche, motivate con l’uso delle risorse ottenute con la tassa per realizzare strutture e servizi di pubblica utilità, così è stato dichiarato, andando a recuperare risorse là dove certi consumi sono più elevati.

A proposito di aviazione civile

Vogliamo approfittare di questo spazio per parlare anche della tassa sui voli aerei?

A questo proposito vi propongo alcune tessere di un ipotetico puzzle, che costituisce la base del ragionamento.

  • Tessera nr 1: Per andare da Parigi a Pechino un grande aereo (Airbus A380) consuma circa 140 tonnellate di kerosene, il carburante utilizzato dagli aerei;
  • Tessera nr 2: I grandi velivoli dell’aviazione civile sono progettati e costruiti per rispondere alla crescente domanda di spostamenti di grandi masse di persone per lunghe distanze, e i modelli vincenti sono proprio quelli che dimostrano di avere il miglior rapporto tra passeggeri trasportati e consumi di carburante;
  • Tessera nr 3: L’Airbus A380 non verrà più costruito, ufficialmente per mancanza di ordinativi, ufficiosamente per i costi elevati di manutenzione e di gestione da parte delle compagnie;
  • Tessera nr 4: L’aviazione civile, soprattutto quella transoceanica, è uno dei segni distintivi e irrinunciabili della nostra epoca e della nostra civiltà;
  • Tessera nr 5: Treni e auto, sulle lunghe distanze, non reggono nessun tipo di confronto con gli aerei.

L’unica possibilità di intervento per cercare di modificare le abitudini dei cittadini (europei) riguardo gli spostamenti in aereo a favore del treno, può essere effettuata solo a livello regionale – nazionale e a livello continentale, ma solo per parte dell’Europa; in tutti gli altri casi l’aereo risulta, per ora, irrinunciabile.

Può essere dunque ragionevole tassare i voli interni, tralasciando però tutte le considerazioni per le tratte ferroviarie, non ancora così efficienti, e per gli indubbi vantaggi che le compagnie d’aviazione low cost hanno portato ai cittadini.

Provate ad andare in treno da Milano a Pescara, o da Milano a Bari, prendendo un treno ad alta velocità; poi prendete un aereo, magari spendendo la stessa cifra, e ne riparliamo.

Per finire, tassare il Milano – New York, così come tutti gli altri voli intercontinentali, anche solo di 1 €, ha senso, o è semplicemente fuori luogo?